Si parla molto spesso di sicurezza ma quasi mai di come si gestisce una crisi e, soprattutto, del ruolo chiave che in una situazione del genere viene svolto dalla comunicazione.
L’analisi di vicende recenti, che hanno avuto un grande richiamo mediatico, dimostra chiaramente quanto sia importante fornire alle istituzioni, al sistema economico e finanziario e all’opinione pubblica risposte veloci, accurate, continue e coerenti. Se si riesce in questo, si infonde fiducia e si acquisisce credibilità. Al contrario, l’incapacità di rispondere velocemente lascia agli altri la possibilità e il compito di descrivere la crisi, definirne le cause e indicarne le possibili soluzioni, influenzando in tal modo l’atteggiamento degli azionisti e dell’opinione pubblica.
Per meglio chiarire questi concetti, si può fare riferimento a due eventi, molto diversi nelle cause e nelle implicazioni, ma che hanno attirato per molto tempo l’attenzione dei mass media internazionali e le cui conseguenze non sono certamente ancora superate: il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon e l’attacco alle Torri Gemelle, a New York.
Entrambi gli episodi hanno segnato la nostra storia recente, anche se il peso umano, soprattutto in termini di vittime, è ben diverso.
Il disastro della Deepwater Horizon, di proprietà della Transocean, una società di servizi per il mondo petrolifero, sotto contratto con la compagnia inglese British Petroleum (BP), ha causato lo sversamento massiccio di petrolio nelle acque del Golfo del Messico, durante le fasi finali nella realizzazione di un pozzo a oltre 1.500 m di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato il 4 agosto, 106 giorni più tardi, con milioni di barili di greggio dispersi nelle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato grossi ammassi sul fondale marino. È il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989. Le vittime sono state 11.
Nella gestione della crisi, la BP ha compiuto almeno cinque errori, che riguardano in particolare:
- Mancanza di pianificazione delle emergenze. La Società non ha mai predisposto un piano di emergenza, non era preparata a un evento di questo tipo e non ha fatto quanto necessario per evitarlo. In particolare, avrebbe trascurato alcuni segnali di pericolo apparsi giorni prima dell’incidente. Per questi motivi, la BP non aveva predisposto una strategia di comunicazione anti-crisi e non era preparata ad affrontare i mass media.
- Incapacità di comunicare empatia e preoccupazione per il disastro nei confronti dell’opinione pubblica e degli azionisti. Le prime dichiarazioni mancarono totalmente di tempestività, accuratezza e coerenza. BP impiegò infatti quattro giorni per rendersi conto che c’era una fuoriuscita di petrolio da un pozzo ma si dimostrò estremamente lenta nell’esprimere preoccupazione e solidarietà per le vittime del disastro ambientale. Cercò invece di scaricare la responsabilità su altri attori.
- Tentativo di concentrarsi sulla propria immagine a discapito delle vittime e degli azionisti. Subito dopo l’incidente, lanciò una campagna mediatica per scusarsi del disastro e per informare l’opinione pubblica che si sarebbe fatta carico della bonifica dell’area interessata dallo sversamento. Molti tuttavia criticarono il denaro speso per questa campagna, sostenendo che esso avrebbe dovuto essere utilizzato per operazioni di ripulitura e per il risarcimento delle vittime.
- Scelta errata del portavoce della Società e del tipo di messaggi che si voleva diffondere. L’Amministratore Delegato, Tony Hayward, ha gravemente danneggiato l’immagine di BP con una serie di errori grossolani. Dapprima ha minimizzato l’incidente, sottovalutandone l’impatto ambientale, poi non ha saputo gestire i rapporti con il mondo dell’informazione, dando l’impressione di essere maleducato e talvolta bugiardo ed esponendosi a critiche ed attacchi derisori.
Alcune sue dichiarazioni sono probabilmente ancora ricordate, come quella in cui sottolineava che “il Golfo del Messico è un oceano molto grande. La quantità di petrolio e di solvente che noi stiamo versando in mare è piccola rispetto al volume totale dell’acqua”. E questo, proprio quando le autorità USA comunicavano che circa 5.000 barili di petrolio finivano giornalmente in mare. Anche i resoconti di due giornalisti inviati da BP nel Golfo, per descrivere gli sforzi compiuti dalla Società per arginare i danni prodotti dal disastro, hanno rasentato spesso il ridicolo.
- Inefficacia della collaborazione con i mass media. Per controllare l’esposizione mediatica del disastro, BP cercò di censurare, limitare e/o ritardare il flusso di informazioni verso l’opinione pubblica. Questi tentativi, tuttavia, attirarono maggiormente l’attenzione dei mass media, stimolandone la determinazione ad accertare la verità su quanto accaduto e sulle sue conseguenze.
Al contrario, l’operato dell’ex Sindaco di New York, Rudolf Giuliani, in occasione dell’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001, è stato apprezzato da tutti per la sua serietà, la sua concretezza e la sua capacità di stabilire un legame solido e profondo con le famiglie delle vittime e con la città.
I suoi interventi sono stati giudicati tempestivi e la sua comunicazione efficace. Poche ore dopo il crollo delle due Torri, ha dichiarato che “il numero delle vittime sarà superiore a quello che ognuno di noi può immaginare, e non vogliamo fare supposizioni al riguardo. Lo sforzo deve essere ora quello di salvare quante più persone possibile”. Sono parole di grande onestà, che non volevano affatto sottovalutare la gravità del disastro e ottenere consensi, alimentando illusioni, ma mettere tutti di fronte alle reali dimensioni della tragedia, in modo che ognuno di essi potesse dare il massimo contributo per venirne fuori e ripartire.
Altri aspetti messi in risalto nella comunicazione di Giuliani sono stati:
- Scelta accurata dei canali mediatici utilizzati. Per coinvolgere tutta la popolazione, rafforzare i sentimenti di appartenenza ad una comunità colpita dal dolore e fornire indicazioni sulle iniziative prese e direttive sui comportamenti da adottare, Giuliani ed i suoi collaboratori hanno utilizzato tutti gli strumenti che una città tecnologicamente molto avanzata come New York offriva, da quelli più tradizionali a quelli che meglio riescono ad avvicinare le nuove generazioni.
- Instaurazione di una forte collaborazione con gruppi e organizzazioni vicine. L’Amministrazione di New York è riuscita a mobilitare tutti i soggetti pubblici e privati, incluso l’associazionismo di varia matrice e i gruppi espressione di interessi particolari, affinché si impegnassero per contenere le dimensioni del disastro e assistere in tutti i modi le famiglie delle vittime e coloro che avevano subito i traumi degli attacchi, facilitando nello stesso tempo l’avvio della normalizzazione in città.
- Predisposizione di un accurato piano delle emergenze. Viste anche le notevoli capacità di organizzazione e di esecuzione, di cui danno generalmente prova le strutture pubbliche e private statunitensi, il piano delle emergenze è stato tempestivamente adeguato alle esigenze ed ha consentito di far fronte ad una tragedia che, per il ristretto quadro temporale in cui si è verificata, ha pochissimi precedenti nella storia.
Sicurezza non è solo “sine cura”, non è solo “conoscenza che l’evoluzione di un sistema non produrrà stati indesiderati” ma è anche la capacità di comunicare cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo per la nostra resilienza. Una comunicazione onesta, una comunicazione etica è il nostro abito morale con il quale trasferiamo il livello di affidabilità della nostra azienda.
Quindi ricordiamo sempre di dare un senso alla nostra comunicazione, cerchiamo di essere comprensibili, mostriamo di essere convinti di ciò che vogliamo asserire. Anche il futuro della nostra azienda dipende da come sappiamo comunicare nei momenti di crisi.
di Umberto Saccone, Presidente IFI Advisory